lunedì 25 settembre 2017

Violenza ostetrica in sala parto: 1 milione di donne vittime, 20mila bambini mai nati



 Abusi e insulti in sala parto: quando si parla di violenza ostetrica

Una campagna per denunciare gli abusi durante il parto, una legge per introdurre il reato di violenza ostetrica

Come se il corpo delle donne non fosse già ‘violentato’ da certi sguardi invadenti, dalle mani che si appiccicano addosso sugli autobus, dai modelli imposti di bellezza e di magrezza. Come se le donne non fossero già ‘violentate’ da un mondo che pensa al maschile, nel quale trovano lavoro con maggiore difficoltà degli uomini e sono pagate di meno a parità di competenze.

È il corpo a fare la differenza? La fa per le donne in carriera, quelle delle quali l’azienda teme l’eventuale gravidanza, per le casalinghe quando rinunciano, per la famiglia, a realizzare i propri sogni, come per le giovanissime quando affrontano, lasciate sole, l’esperienza di diventare madri, facendo i conti con le conseguenze di qualcosa che ha lasciato un segno soltanto dentro di loro.

È il corpo a fare la differenza perché è un corpo ricettivo, che trattiene e conserva, fa germogliare e nascere, ma non senza il passaggio attraverso un grande dolore, quello del parto. E si sa che il dolore, nel momento in cui lo si vive, rende più fragili. Proprio in quei momenti, vissuti in ospedale, non è raro che si sommi, però, a questo dolore, un malessere che invece, sarebbe del tutto evitabile: quello della rabbia causata dalla maleducazione e degli insulti da parte del personale dell’ospedale di cui a volte le partorienti sono vittime, ma anche le gravi violazioni della privacy che subiscono, le frequenti condizioni di medicalizzazione in cui avviene il parto, senza rispetto per i ritmi fisiologici, le decisioni prese dal personale medico-ospedaliero senza il consenso della donna.

Una campagna social ha dato la possibilità a quante abbiano vissuto questo tipo di esperienza negativa di raccontarla per iscritto su un foglio e di denunciarla in anonimato alla rete sotto l’hashtag #BastaTacere. Un modo per farsi sentire, per essere unite contro coloro che pensano di essere forti usando violenza contro chi, in quel momento, è indifeso. Perché dimenticare e pensare, dopo il parto, “solo al bambino”, come spesso viene consigliato, non è altro che un modo per agevolare il perpetuarsi di questi comportamenti.

L’obiettivo della campagna #BastaTacere è, inoltre, sostenere una proposta di legge che introduce il reato di violenza ostetrica condannando abusi fisici e verbali, umiliazioni, violazioni gravi della privacy e della riservatezza, procedure mediche coercitive o non acconsentite, ma anche il rifiuto di offrire un’adeguata terapia per il dolore, il rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, la trascuratezza nell’assistenza al parto e molto altro.

Leggendo le storie che sono state raccolte, attraverso le parole dense di rabbia e di dolore, emerge come la proposta di legge rifletta, purtroppo, un fenomeno diffuso. Si tratta di situazioni gravi e umilianti, che lasciano segni profondi sul corpo e nella psiche delle donne.

Come se quello del travaglio e del parto fosse il momento nel quale si trovino a pagare, e a caro prezzo, la fragilità del proprio corpo, messo a nudo, per esempio, davanti ai tanti tirocinanti, come se non appartenesse a un essere umano dotato di sentimenti. Lasciato per molte ore senz’acqua, toccato con violenza, senza rispetto nemmeno per la sacralità della vita che porta dentro, in modo, a volte, incurante dei rischi. Come se dentro la sala parto le regole della società civile e del rispetto della persona venissero meno: allora una donna – che potrebbe essere la direttrice della scuola del proprio figlio o la ragazza affascinante alla quale qualcuno avrebbe aperto la portiera dell’auto – in sala parto può diventare oggetto dei commenti più volgari, violentata nella sua intimità, lasciata sola per ore, al freddo, nel disinteresse totale, senza permetterle di avere vicino il proprio uomo, annientata nel proprio potere decisionale, ‘carne da macello’: sono le parole che ricorrono in molte delle testimonianze.

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